martedì 13 dicembre 2016

Il referendum sull'euro si può fare (sfortunatamente)

Anche se questo blog non è politicamente schierato, ciò non significa che non abbia chiari fondamenti ideologici: in particolare, riteniamo che la sola forma di democrazia compatibile con l'attuale contesto storico italiano sia quella maggioritaria e decidente.
Un elemento chiave della democrazia maggioritaria e decidente è che la forza politica che esca vincitrice dalle elezioni ha il diritto e il dovere di realizzare il proprio programma, in modo conforme al nostro ordinamento costituzionale, coerentemente con le regole che ci siamo dati, ma senza vedersi opporre lacci e lacciuoli.

Ciò vale per ogni obiettivo politico costituzionalmente legittimo: e io non dubito che l'uscita dell'Italia dalla moneta unica europea sia un obiettivo costituzionalmente legittimo. Il fatto che i costi di una tale decisione sarebbero quasi certamente tragici, non dice nulla sulla sua liceità. Il Movimento 5 Stelle ha nel proprio programma un referendum popolare sulla permanenza dell'Italia nell'euro: se, come io credo fortemente, uscire dall'euro per l'Italia sarebbe un vero disastro, il referendum sull'euro va contrastato con forza, ma nel merito, e non attaccandosi a lacci e lacciuoli.

Dopo l'intervista di Die Welt a Di Battista in cui l'esponente grillino ha ribadito l'intento di indire il suddetto referendum una volta vinte le elezioni, molti commentatori hanno liquidato la proposta con aria di sufficienza, ricorrendo al ben noto argomento secondo cui la nostra Costituzione esclude i referedum abrogativi delle leggi di ratifica dei trattati internazionali, e non prevede referendum consultivi o di indirizzo. Pertanto, prima di indire un tale referendum, bisognerebbe modificare la Costituzione per introdurre nel nostro ordinamento il referendum di indirizzo: una riforma che, di per sé, dovrebbe essere approvata con referendum costituzionale, data l'implausibilità della maggioranza dei 2/3 in entrambe le camere.

Questo è ciò che dicono le opinioni raccolte dal sito Bufale un tanto al chilo, a cui aggiungiamo quella del costituzionalista Roberto Bin. Benché siano entrambe fonti delle quali ho la massima stima, nel leggerle ho avuto l'impressione di trovarmi di fronte al cardinale Voiello, potente segretario di stato della Santa Sede, interpretato da Silvio Orlando nella fiction The Young Pope, i cui metodi da vecchio politicante si rivelano però del tutto inadeguati a ostacolare il determinato, giovane e dispotico papa Pio XIII interpretato da Jude Law.

Gli ostacoli pratici a un referendum sull'euro potrebbero forse scoraggiare forze politiche come la Lega o Fratelli d'Italia, antieuropee ma non insensibili ai riti politici italiani; ma il Movimento 5 Stelle, che non riconosce tali riti e che a differenza dei due partiti di destra citati non ha parentele fasciste o razziste da farsi perdonare (pur flirtando talvolta con fascisti e razzisti), sarebbe senz'altro maggiormente spregiudicato. Non ci vuole molta fantasia per capire che, se i grillini andranno al Governo, proporranno una legge costituzionale ben diversa da quella immaginata dai nostri commentatori.

Si tratterà di una legge costituzionale che conferirà al Governo il potere di autorizzare l'uscita dall'euro per decreto, in deroga a quanto previsto dalla Costituzione. Su questa materia circoscritta, il Governo potrebbe, per un periodo di tempo limitato, emanare decreti legislativi (eventualmente anche con forza di legge costituzionale) che realizzerebbero il ritiro dell'Italia dalle disposizioni del Trattato di Maastricht che hanno introdotto l'euro.

Dunque il referendum sull'euro di cui parla Di Battista non sarebbe altro che il referendum confermativo necessario per approvare una tale delega al Governo.

Sembra fantascienza? Forse, ma mi pare che non ci sia nulla, nella Costituzione, che impedisca un tale procedimento. Chi guida il governo ha in genere la maggioranza in entrambe le Camere, e quindi anche la possibilità di approvare testi di legge costituzionale da sottoporre direttamente al giudizio degli elettori. Al contrario, se lo scorso 4 dicembre fosse stata approvata la riforma Renzi-Boschi, la diversa composizione del Senato avrebbe reso questa strada non percorribile. Eppure, quella riforma è stata respinta perché secondo alcuni ci avrebbe esposti al rischio della deriva autoritaria. L'ironia della sorte.