domenica 31 gennaio 2016

La Costituzione è da cambiare?

Cosa c'è che non va nella Costituzione italiana? Sono molti a porre questa domanda che sottende una considerazione seria: una riforma costituzionale è un evento raro, che si verifica o si dovrebbe verificare solamente quando gli atti politici ordinari rivelano limitazioni insuperabili a Costituzione vigente.

Non c'è bisogno di essere fanatici della conservazione della "Costituzione più bella del mondo" per ritenere che, se siamo sopravvissuti con il bicameralismo perfetto per 68 anni, la sua abolizione non appare così urgente. E sì, potrei dirvi che siamo l'unica repubblica parlamentare del mondo in cui le due camere hanno esattamente gli stessi poteri; che il rapporto di fiducia con entrambe le camere ha contribuito a rendere i nostri governi i più deboli del mondo occidentale; che questa riforma razionalizza il rapporto Stato-Regioni, correggendo i difetti della revisione costituzionale del 2001. Potrei andare avanti e citare altre argomentazioni, tutte validissime, e però tutte insufficienti a convincere che oggi la riforma costituzionale non è più procrastinabile.

Voglio quindi affrontare la questione da un'angolazione diversa: non i benefici che ci porterà la riforma del bicameralismo, ma i danni gravi prodotti dal non averla già approvata anni fa.

Non molti se ne sono resi conto, ma l'Italia ha già fatto una "riforma" costituzionale. L'ha fatta senza accorgersene, peggio, senza neanche volerlo. Senza un referendum, senza nemmeno un voto del Parlamento. La Costituzione è cambiata per il verificarsi, nel 2011, di una crisi politica che altrimenti non avrebbe potuto essere risolta, per via degli equilibri numerici delle forze parlamentari, bloccate da veti contrapposti che apparivano insormontabili e che dopo le elezioni politiche del 2013 si sono addirittura aggravati in quanto sanciti dal voto popolare.

Certo, parlare di "riforma" è improprio (il che motiva le virgolette), ma dire che Napolitano, dal 2011 al 2013, ha assunto poteri presidenziali, non è una semplice provocazione. Se infatti da un lato la Costituzione formalmente non è cambiata, dall'altro nel suddetto periodo il ruolo sostanziale del Presidente della Repubblica è stato quello di vera guida esecutiva dell'Italia. Ciò che, per un presidente non eletto direttamente dai cittadini, è una vera e propria eccezione.

In quest'ottica va letta la comune lamentela per il "terzo governo non eletto consecutivo": non soltanto analfabetismo costituzionale (nessun esecutivo in Italia è mai stato eletto), ma anche l'espressione autentica, ancorché ingenua e linguisticamente impropria, di una richiesta popolare che non possiamo non appoggiare: quella di avere il potere di determinare l'indirizzo politico del nostro paese per mezzo del voto. Se oggi i cittadini devono assistere impotenti al formarsi di governi innaturali, è proprio perché abbiamo rimandato la riforma del bicameralismo per 35 anni, convinti che non fosse urgente.

Oggi il Quirinale è tornato a vestire i panni di garante super partes delle istituzioni, ma nessuna delle cause che hanno costretto Giorgio Napolitano ad allargare i propri poteri è venuta meno: con la Costituzione vigente, è verosimile che un blocco del Parlamento analogo a quello dl 2013 si verifichi ancora una volta. Allora il Presidente della Repubblica dovrà nuovamente prendere in mano la situazione e non potremo più illuderci che si tratti di un evento eccezionale e irripetibile.

Per questo, al referendum del prossimo ottobre, sarà necessario votare SI': solo l'approvazione della riforma costituzionale restituirà agli elettori la facoltà di scegliere tra partiti in competizione e giudicarli, legislatura dopo legislatura, sulla base dell'attuazione del programma e dell'efficacia dell'azione di governo.