venerdì 2 dicembre 2016

Dopo il referendum

Ci siamo: finalmente domenica si vota. Per un ricercatore in informatica come me, senza ambizioni politiche, ma ansioso di rendere Italia un paese più dinamico, dotato di governi stabili, ma responsabili di fronte ai cittadini, con autonomie locali rilevanti ma non anarchiche – in poche parole, un paese più europeo – questa campagna referendaria è stata avvincente e stimolante, ma anche dura e stancante.

Giunto a questo punto, dopo tanti commenti, tante discussioni, un confronto pubblico, un aperitivo per il Sì, preparati a tempo perso tra qualche difficoltà, avrei tante cose ancora da dire: ad esempio, commentare per voi ciascuno degli articoli della riforma costituzionale. Non c’è più abbastanza tempo per un lavoro del genere, ma il Comitato Basta un Sì ha già fatto un magnifico lavoro; ai più curiosi consiglio di leggere anche il dossier della Camera dei Deputati che sintetizza il contenuto della riforma.

Oggi non è più il momento di discutere della riforma costituzionale: oggi dobbiamo pensare a cosa ci aspetta lunedì prossimo, dopo il referendum. Se questa campagna referendaria ha avuto un limite, è stato quello di presentare il voto come un punto di arrivo: la vittoria del Sì come palingenesi della politica italiana; la vittoria del No come sconfitta definitiva del nuovismo.

Non è così. Lunedì 5 dicembre sarà molto simile a sabato 3; certo, ci sarà qualcuno che riderà e qualcuno che piangerà: i primi berranno per festeggiare, i secondi per dimenticare; la differenza, però, finirà lì. L’Italia sarà ancora in viaggio, in un momento difficile della propria storia (seppur con qualche segnale incoraggiante).

Saremo ancora in viaggio: con quale destinazione, con quali progetti, con quali speranze? Il più grande rischio del No è quello di scoprire che tutti i nostri sforzi per muoverci ci hanno riportati al punto di partenza; e allora a che serve tanta fatica? Smettiamo di sprecare benzina, spegniamo il motore e rimaniamo dove siamo.

C’è un analogo rischio per il Sì: quello di credere di essere arrivati a destinazione. Non perdiamo la testa: quella costituzionale è la riforma che consente di fare le riforme. Un’automobile nuova, più moderna ed efficiente, non serve a niente se la teniamo in garage: dovremo cominciare a usarla subito senza timore, anche perché – non nascondiamocelo – avremo bisogno di tempo e di pratica per imparare a sfruttare le sue potenzialità, le sue nuove funzioni. Penso soprattutto alle funzioni non legislative del nuovo Senato: la valutazione delle politiche pubbliche, dell’attività delle pubbliche amministrazioni, e dell’impatto delle politiche dell’Unione Europea; i pareri sulle nomine di competenza del Governo; la verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato.

Non sarà semplice dare sostanza a questi poteri, ma il loro impatto sull’efficienza della macchina dello Stato e degli enti locali potrebbe essere notevolissimo, se non ci adageremo sugli allori. Perché il riformismo è questo: sapere che il viaggio della politica non ci porta mai a una destinazione, ma sempre a un nuovo inizio e a un nuovo viaggio, da affrontare senza paura e con la stessa determinazione di quello precedente.

Domenica, finalmente, si vota Sì. Lunedì, comincia un nuovo viaggio, una nuova sfida per gli italiani che hanno il coraggio e la speranza di affrontare il futuro. E io non vedo l’ora di affrontarla insieme a tutti gli altri italiani che hanno lo stesso coraggio e la stessa speranza. Basta un Sì!