mercoledì 25 ottobre 2017

Italicum: tirando le somme

Quarta e ultima puntata della nostra discussione sulla sentenza di incostituzionalità Italicum. Link diretti alle puntate precedenti
1. Sintesi della sentenza
2. Analisi generale
3. Ballottaggio nell'Italicum e nei comuni


Nel precedente articolo sulla sentenza Italicum, abbiamo cercato di approfondire l'assunto impossibile della Corte Costituzionale: eliminare il ballottaggio dell'italicum in quanto incostituzionale, mantenendo valido quello dei sindaci in quanto costituzionalmente legittimo. Ripugna alla logica che quella disproporzionalità che nell'Italicum, assegnando il controllo di un organo alla maggior minoranza, viene giudicata illegittima, venga invece giustificata quando gli organi assegnati alla maggior minoranza sono ben due: sindaco e consiglio comunale.
La Corte Costituzionale ha in passato confermato la legittimità della legge elettorale comunale, ma la prossima volta che il sindaco di una grande città sarà eletto avendo totalizzato, al primo turno, soltanto il 20% dei consensi, gli esclusi dal ballottaggio potranno fare ricorso basandosi sulla nuova giurisprudenza relativa all'Italicum. I giudici dovranno allora prodursi in nuove acrobazie per evitare di scassare ciò che funziona da 25 anni.

La "logica prevalente" proporzionale

Concludiamo la nostra critica puntualizzando alcuni ulteriori elementi discutibili. Uno di questi è la "logica prevalente" della legge elettorale: già nella sentenza 1/2014 (contro il Porcellum), la Corte aveva sostenuto che

qualora il legislatore adotti il sistema proporzionale, anche solo in modo parziale, esso genera nell’elettore la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioè una diseguale valutazione del “peso” del voto “in uscita” [...]

Si tratta a ben vedere di un'affermazione che sconfina quasi nella sprezzante sottovalutazione dell'elettore, capace di vedere soltanto proporzionale o maggioritario, e non le diverse gradazioni di questi due principî che sono possibili. Chiunque sia in grado di capire che il caffelatte può avere più o meno caffè per aiutare a svegliarsi, e più o meno latte per attenuare l'amaro del caffè, sa anche cosa aspettarsi da una legge che contenga elementi di proporzionale ed elementi di maggioritario.

Al tempo stesso, la Corte si attribuisce una sostanziale arbitrarietà nel definire quale sia la logica prevalente: chi può dire che la ripartizione proporzionale del 45% dei seggi costituisca un elemento prevalente sulla formula majority assuring. Chi può dire, parafrasando la Corte, che il ballottaggio non generi nell'elettore la "legittima aspettativa" che il vincitore ottenga una maggioranza dei seggi?

È dunque evidente che questo ragionamento dei giudici, ancorché non illogico, contiene elementi fortemente opinabili.

Rappresentatività e governabilità

Lascia invece senza parole che la Corte insista con l'annoso dualismo tra rappresentatività e governabilità: una dicotomia accademica che vive ormai di vita propria, avendo interrotto ogni rapporto con il sentire comune. Sarebbe utile, per i giudici, fare una passeggiata fuori dal Palazzo della Consulta, e incontrare al parco oppure al bar qualche elettore di quelli che si lamentano del quarto governo non eletto consecutivo, imbeccati da giornalisti televisivi esperti nel frullare gli umori popolari. E dovrebbero fare, a quegli elettori, una domanda semplice: quanto è rappresentativo un sistema elettorale che, nella quasi totalità dei casi, affida il governo a una contrattazione tra partiti, invece che alla scelta dei cittadini?

"Poco o niente", sarebbe la risposta. E forse, allora, i giudici ci penserebbero due volte prima di argomentare che la governabilità è subordinata alla rappresentatività: nel sentire comune, la governabilità è invece un elemento di rappresentatività.


La forma di governo

Un ultimo elemento di critica è collegato ancora una volta alla goffa difesa del premio di maggioranza comunale, basata sulla diversa forma di governo. I progetti di riforma della bicamerale D'Alema e del governo Berlusconi sono stati segnati da una forte opposizione dovuta al fatto che quelle proposte intaccavano la forma parlamentare, modificandola in qualcos'altro (semipresidenzialismo oppure premierato forte): i maggiori oppositori di quei progetti (in molti casi gli stessi che si opposero alla riforma costituzionale fallita del 2016) sostenevano che il problema della governabilità andasse affrontato soltanto dal punto di vista della normativa elettorale, e non da quello della forma di governo.

Addirittura si disse (l'infelice iperbole si deve, purtroppo, al compianto Leopoldo Elia) che il progetto del governo Berlusconi configurava un "premierato assoluto". Se prendiamo seriamente il ragionamento della Consulta (io, come ho già detto, ritengo che ciò non sia possibile; ma altri potrebbero pensarla diversamente), abbiamo un forte argomento in favore della modifica della forma di governo in modo coerente con la proposta del cosiddetto "premierato assoluto".

È dunque inevitabile che i prossimi progetti di riforma -- ce ne saranno ancora altri, senza dubbio -- saranno più ambiziosi di quello minimale che è stato bocciato lo scorso anno. I gladiatori del No sono avvisati...


Non è tutta colpa della Corte Costituzionale

Benché la sentenza sull'Italicum sia problematica per le ragioni fin qui esposte, non tutto quello che ne è conseguito è responsabilità dei giudici.

Non è vero, per esempio, che la Consulta abbia chiuso la porta a ogni legge elettorale majority assuring. Il ballottaggio dell'Italicum avrebbe tranquillamente potuto essere salvato, con tanto di premio di maggioranza al 54%, se il parlamento si fosse messo d'accordo per rendere possibili gli apparentamenti tra liste, in qualche forma che tenga conto dei rilievi della Corte, al secondo turno. Sarebbe stata una strada stretta, ma la maggioranza che ha approvato l'Italicum, in teoria, avrebbe dovuto essere in grado di fare questa modifica.

Invece ciò non è stato possibile per due ragioni: la prima è che la bocciatura della riforma del bicameralismo al referendum dello scorso dicembre, confermando il Senato elettivo e paritario, esclude l'utilizzo di premi di maggioranza con ballottaggio. Il rischio che i due ballottaggi simultanei per Camera e Senato diano risultati diversi (dato che diverso è il corpo elettorale: al Senato i minori di 25 anni non votano) sarebbe troppo elevato.

Inoltre il risultato del referendum ha reso francamente improponibile la riproposizione di un sistema elettorale pensato insieme a quella riforma costituzionale bocciata dagli italiani.

Infine, una legge elettorale giudicata incostituzionale diventa marchiata per sempre come "porcata", ma questo dipende da un pensiero demagogico che non è stato promosso dalla Corte Costituzionale. Troppo difficile spiegare che un sistema elettorale è un oggetto complesso in cui occorre contemperare numerose esigenze di rilievo costituzionale, e che il campo di azione della Consulta si è esteso (oltretutto con una giurisprudenza ondivaga) a tal punto che l'unico modo per essere certi della costituzionalità di un sistema è approvarlo e incrociare le dita in attesa di un ricorso che non tarderà ad arrivare.

Concludo così questa serie sull'Italicum, proprio mentre si approva una nuova legge elettorale, molto meno ispirata di quella precedente, ma che probabilmente reggerà allo scrutinio di costituzionalità proprio perché le mancano quei correttivi maggioritari che una buona legge elettorale italiana dovrebbe avere. Dovremo sperimentare i limiti di questo sistema che gli italiani hanno voluto senza volerlo, per capire quanto fosse buono quello giudicato incostituzionale. Addio Italicum, legge che avrebbe potuto essere buona, ma alla fine non fu!

< 3. Il premio nell'Italicum e nei comuni < (fine)

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