domenica 1 ottobre 2017

Due parole sulla Catalogna

In una democrazia liberale dovrebbe essere possibile, seguendo la giusta procedura, aggravata fin quanto è necessario, discutere e prendere qualunque tipo di decisione che non metta in pericolo la democrazia liberale stessa.
Invece, oggi, le questioni che riguardano l'unità dello stato e la variazione dei confini, nella maggior parte dei paesi (la Spagna, come abbiamo scoperto, ma notoriamente anche l'Italia) non possono neanche legittimamente essere poste.
Non si possono variare i confini (se non in maniera del tutto eccezionale) perché la pace di cui ha goduto la maggior parte dell'Europa dalla fine della seconda guerra mondiale deriva in buona parte dal fatto che i confini degli stati sono diventati cristallizzati e indiscutibili.
Si tratta senz'altro di un'ottima ragione, ma non abbastanza da autorizzare un governo che si trovi a confrontarsi con una regione fortemente autonomista prima, e separatista poi, a ignorare il problema, mostrarsi completamente sordo alle richieste della popolazione, e alla fine raddrizzarli a bastonate.
Non è una buona ragione perché si tratta di un comportamento moralmente incompatibile con quei principi della democrazia liberale che dovremmo considerare supremi, forse anche più della costituzione stessa. Ma soprattutto non è una buona ragione perché è straordinariamente inefficace.
Pensateci bene: questo scontro tra Madrid e Barcellona è nato attorno a una questione di tasse: roba che con l'identità nazionale non c'entra nulla. 10 anni fa, sotto Zapatero, c'era un 15% di separatisti in Catalogna: robetta. Poi è arrivato Rajoy, che ha ignorato per anni il malumore catalano (non ve la faccio lunga, ma c'è di mezzo una sentenza di incostituzionalità) e alla fine gli ha mandato la guardia civile (carabinieri) a bastonarli.
Ecco, pensate a questo e ditemi: secondo voi i catalani, dopo le bastonate, si sentono più spagnoli o meno?

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