venerdì 13 gennaio 2017

Ma che diavolo sarebbe il "referendum informale"?

Poteva dire "referendum di indirizzo". Poteva dire "referendum consultivo". E invece no: Gustavo Zagrebelsky, commentando la ben nota richiesta di referendum sull'euro avanzata da alcuni partiti, in particolare il Movimento 5 Stelle, si è inventato una categoria ancora inedita.

D. I 5Stelle insistono per il referendum sull’euro.

R. La Costituzione non lo prevede. Ma un referendum informale per dare un’idea di massima degli orientamenti tra i cittadini, non vedo perché non sia possibile.

Inventare nuove categorie giuridiche: c'è chi può e chi non può, e un principe ucraino ex presidente della Corte Costituzionale, evidentemente, può. Avrebbe potuto anche degnarsi di spiegare che cosa sia mai un tale "referendum informale": dato che non l'ha fatto, mi assumo l'ingrato compito nei limiti delle mie minuscole capacità.

I referendum consultivi e di indirizzo, cioè quelli che pongono un quesito all'elettorato senza prevedere alcun obbligo di attuazione dell'opinione risultata maggioritaria, sono di per sé una forma di consultazione molto criticata. Qualora sia possibile farne richiesta direttamente da parte dei cittadini, il referendum consultivo, pur non vincolante, può essere un dignitoso strumento di pressione politica; ma se esso è richiesto dalle istituzioni investite del potere di prendere decisioni, interpellare i cittadini riservandosi il diritto di ignorarne le opinioni è un inutile bizantinismo.

Comunque, in Italia un referendum di indirizzo c'è stato: quello del 1989 sul conferimento di un mandato costituente al Parlamento europeo, che peraltro non ha prodotto alcun effetto nonostante il risultato bulgaro sia in termini di affluenza sia nella prevalenza del Sì. Ma questo referendum è stato indetto non da una legge ordinaria, ma da una legge costituzionale ad hoc. Non si poteva fare altrimenti: il popolo italiano esercita la propria sovranità nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione (art. 1!), e la Costituzione quel tipo di referendum non lo prevede.

Dunque, per tenere un referendum consultivo bisognerebbe per prima cosa modificare la Costituzione; per cui, a meno che in Parlamento non si coaguli una maggioranza dei due terzi in entrambe le Camere (il che pare alquanto improbabile), prima del referendum consultivo bisognerebbe tenerne uno confermativo sulla legge costituzionale che lo istituisce.

Conscio dell'irragionevolezza di un tale procedimento, Zagrebelsky propone un'acrobatica piroetta che avrebbe fatto impallidire Nureyev (saranno parenti?): se l'opinione dei cittadini italiani può chiederla Piepoli, potrà ben chiederla anche lo Stato. È sufficiente che questa consultazione non sia affatto una modalita di espressione della sovranità popolare, neanche in termini consultivi; ecco dunque spiegato il "referendum informale": una votazione che in termini pratici è del tutto identica a un referendum, ma che è priva della dignità istituzionale del referendum. Formalmente non potrebbe mai chiamarsi referendum e dovrebbe essere considerata nient'altro che un sondaggio d'opinione a tappeto eseguito direttamente dallo Stato, e se così fosse non soltanto non occorrerebbe una legge costituzionale per indirla, ma probabilmente non servirebbe neanche una legge ordinaria: basterebbe un provvedimento amministrativo come un decreto del Ministero dell'Interno.

L'ipotesi zagrebelskiana, dunque, si fonda su un'interpretazione puramente formalista: lo Stato può indire un referendum anche senza legge costituzionale, a condizione di non riconoscerlo formalmente come tale.

Sarà. Io rimango convinto che ciò che cammina come una papera e starnazza come una papera, probabilmente è una papera: e allora il "referendum informale" non è nient'altro che il tentativo di eludere la Costituzione, proposto da un autoproclamato difensore della Costituzione. Che pena.